Ecco
Odore di petrolio
Che infetta le narici
E poi la mia zucca
Mezza marcia
Che quando sarà distrutta
La darò in pasto ai topi
Così che ci studino
La vita organica
Delle nevrosi.
Tag: Psicologia
Base Sicura.
I calli sulle mani
lo stipendio sotto ai piedi
la schiena frammentata
non dalla vecchiaia.
Lo shampoo che sembra gelatina
un biglietto del treno
che costa una fortuna.
Fatichi soldatessa.
Ma sorridi ad occhi aperti
e abbracci a palpebre serrate.
Vivi di pazienza
anche se sei impaziente.
sei brava a ricordare le emozioni
e i bei vestiti che avevi.
Hai il cuore che profuma
di pane appena sfornato
e la mente che lavora le parole
come fossero zucchero raffinato.
Hai la spada alla cintura
temono quella
come fossi sempre in guerra
stupidità di chi vede ma non osserva.
Tu filtri il mondo intensamente
come la moka
e come il caffè sei amare
ma fai i biscotti per la mattina
quando ti sforzi d’esser la prima
a sorridere
ma hai il sonno che ancora
appesantisce le persiane.
Fatichi soldatessa.
Ma dipingi i giorni di giallo
(quello felice)
e le notti di stelle.
Memoria emotiva.
Io ti ho impressa
nella memoria
emotiva
per sicurezza
che se anche perdessi
l’ippocampo
ti ricorderei ancora.
Magari non ricorderei
il tuo volto
non il suono della tua voce
non il rossore delle tue gote
o il tuo sorriso,
i tuoi occhi
no, quelli non li ricorderei
per niente
e sarebbe un gran peccato
lo so.
perché sono belli.
Ma tanto
cosa mi importa?
Ti ho impressa
nella memoria
emotiva,
che se anche perdessi
l’ippocampo
perderei tutto
ma non la possibilità
di innamorarmi di te.
Perché è vero
che ogni istante vissuto
sarebbe disciolto
come goccia di colore
in fin troppa acqua
ma cosa mi importa
di ricordare
la prima volta
che ti ho vista
quando potrei rivederti
ancora per la prima volta?
che poi non sarebbe la prima
ma sarebbe la prima comunque.
e potrei respirare
nuovamente
e ricordare di aver già
respirato così
non in una vita passata
ma proprio in questa.
In questa vita
in cui salverei
di me
solo
l’amigdala.
Perché tanto,
anche perdessi
l’ippocampo
non perderei te.
Futuro.
Quando mi dicevano che l’università era il primo passo verso il mondo “reale”, non è che ci credessi così tanto. Pensavo fosse una delle solite cose che si dicono quando si caratterizza un nuovo percorso scolastico.
Ma sì! Perché in fin dei conti sono tutti gradini verso il mondo adulto. Compreso il primo giorno d’asilo, il primo rientro a scuola, le prime amicizie tra compagni, le elementari, i primi compiti, le medie, la scelta delle superiori.
Il punto è che fino a che frequenti una scuola superiore, soprattutto se quella scuola è come lo era la mia, che prende quindi solo uno spicchio di città, che setaccia i ragazzi neanche fossero farina, sei protetto.
I professori ti indirizzano, che lo facciano bene o male è un’altra questione fin troppo problematica.
Hai una linea evidenziata che dovresti seguire se tutto va secondo i piani.
Oggi mi sono resa conto che questa linea, d’ora in poi, sarò io a doverla tracciare, ad evidenziarla per essere certa che non svanisca; per essere certa di vederla bene, senza bisogno di nuovi occhiali; per essere certa di non dimenticarla.
Capisco le voci dei professori sprecate per anni nel tentare di inculcare responsabilità ad ognuno di noi. Cercavano di metterla a forza nella nostra testolina da ragazzi incompresi e perennemente incazzati con il mondo.
Mi sono fatta due ore di treno. Ho preso l’autobus, schiacciata come una sardina tra una gamma di fragranze di sudore che neanche quelle dei saponi della Lash. Ho fatto la fila due ore per l’immatricolazione. Ho dovuto ricalcolare il percorso. Ho cammino per un ora e mezzo perché la voglia di condividere ossigeno con altre persone di nuovo mi faceva stare male. Vagando senza senso per altro dieci minuti ho trovato il polo universitario di psicologia. Sarà che sono imbranata io ma quel polo si mimetizzava perfettamente con i palazzi anonimi circostanti. Persa ormai una lezione ho aspettato quella pomeridiana. Due ore e un quarto d’ascolto. Autobus. Treno, scalo, treno.
La responsabilità è quella cosa che mi porta a tracciare una linea continua e costante. Perché anche se la mia vita di qualche mese fa era più lineare, tranquilla e facile ora ho il compito di costruirmi un futuro. Faccio il primo passo nel mondo “reale”.
Non mi sento più i piedi e sono stanca, ma sono responsabile e quindi frequenterò le lezioni quanto più possibile.
Magari il fatto che abbiano nominato “fotocopie di cartelle cliniche di manicomi di un secolo fa” mi incentiva leggerissimamente ad esserlo.